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(a cura di Giammaria Fulco, 2013)
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Tommaso
d’Aquino
Massimo tra gli Scolastici, vero genio
metafisico, fu uno dei più grandi pensatori di ogni tempo.
Costituisce uno dei pilastri teologici e filosofici della Chiesa
Cattolica che nel 1567 lo proclamò dottore (S. Pio V). E’ stato nominato patrono
delle scuole cattoliche da Leone XIII
nel 1880. E’ noto come Doctor communis perché la sua dottrina è quella
comunemente insegnata dalla Chiesa.
Rappresenta il punto di raccordo
fra il pensiero cristiano e quello classico che affonda le sue radici in
Socrate, Platone e Aristotele.
Nacque nel castello di Roccasecca
( Lazio meridionale, Terracina) nel 1221, figlio del conte Landolfo d’Aquino e
della normanna Teodora appartenente al ramo dei Rossi della famiglia dei Caracciolo.
Essendo il figlio più piccolo fu destinato, secondo le tradizioni
dell’epoca, alla vita religiosa e all’età di cinque anni fu inviato nell’abbazia di Monte Cassino per ricevere i primi
rudimenti dell’educazione religiosa ed essere iniziato alla vita monastica come
oblato Benedettino. L’abate di
Monte Cassino era in quel tempo un potente feudatario, ma le continue guerre
tra il Papa e l’Imperatore impoverirono l’abbazia portandola presto in uno
stato di desolante abbandono e triste decadenza. Su consiglio del nuovo abate
Stefano di Corbario, e per metterlo al riparo dai disordini, il padre lo inviò,
appena adolescente, a Napoli per
seguire studi più approfonditi. Qui, nel 1224, all’età di 14 anni si iscrisse al nuovo Studium generale dell’Università ed
entrò in contatto con l’Ordine Domenicano ove decise di entrare
attratto dalla nuova forma di vita religiosa, aperta alle istanze
sociali, coinvolta nel dibattito culturale dell’epoca e libera da interessi
mondani. La sua decisione, irrevocabile, fu vivamente contrastata dalla
famiglia che vedeva così sfumare il progetto di farlo diventare abate di Monte
Cassino; la madre a tal fine inviò un corriere ai suoi figli, che in quel
momento stavano guerreggiando nella regione di Acquapendente, perché lo
prendessero e lo riportassero a casa. Essi lo catturarono e lo portarono al
castello di Monte San Giovanni Campano, un castello di famiglia, per poi
trasferirlo a Roccasecca ove tutta la famiglia cercò di convincerlo, ma
inutilmente. Qui Tommaso non fu maltrattato: era in una specie di soggiorno
obbligato da dove poteva entrare ed uscire a piacimento e ricevere visite. Alla
fine la famiglia dovette cedere alla sua volontà e lo restituì al convento di
Napoli. Divenne novizio nel 1244.
I Domenicani tuttavia, non ritenendolo al sicuro dalla famiglia, lo inviarono a Roma dove c’era il Maestro dell’Ordine, Giovanni Teutonico, in
procinto di partire per Parigi ove
si sarebbe celebrato il Capitolo generale
del 1246.
Teutonico lo portò con sé a Parigi ove trascorse gli anni 1246, ’47 e
‘48 (cioè tre anni scolastici).
Il
7 giugno 1245 il Capitolo generale dei Domenicani, riunito a Parigi, decise la
creazione di uno Studium generale a Colonia
dove già esisteva un convento domenicano fondato nel 1221-22. L’incarico dell’insegnamento
fu affidato a Fra’ Alberto ( il futuro sant’ Alberto Magno) che godeva di
grande reputazione. Tommaso a Colonia rimase per 4 anni e poté assimilare bene
il pensiero di Alberto come si evince dalla sua opera Tabula libri Ethicorum in cui sono presenti tante citazioni quasi
letterali di Alberto.
Primo
periodo di insegnamento a Parigi (1252-1259)
Quando il Maestro Generale dell’Ordine chiese
ad Alberto di indicargli il nome di un giovane teologo da nominare come
baccelliere per insegnare nell’Università di Parigi, questi indicò Tommaso che stimava
molto preparato in scientia et vita.
In verità Alberto esitò un po’ per via della giovane età di Tommaso
(l’Università richiedeva un’età di almeno 29 anni per quell’incarico), ma l’ostacolo fu superato grazie alla
mediazione del cardinale Ugo di Saint-Cher e così Tommaso iniziò il suo
insegnamento a Parigi come baccelliere, nel settembre del 1252, sotto la guida
del maestro Elia Brunet de Bergerac che era andato a sostituire Alberto partito
per Colonia.
A Parigi Tommaso trovò un clima intellettuale
meno tranquillo di Colonia. Da considerare che nel 1250 era ancora vietato
commentare i testi di Aristotele, tuttavia nel 1252 la Facoltà delle Arti
diede il permesso di divulgare il pensiero del grande filosofo greco.
Il
primo ritorno in Italia (1259-1268)
Nel 1259 fu trasferito ad Orvieto come responsabile della formazione
continua della comunità.
Qui ebbe il tempo di completare la stesura della Summa contra Gentiles e
della Expositio super Iob ad litteram.
Dal 1265 al 1268 fu inviato a Roma come maestro reggente incaricato della
formazione culturale dei giovani domenicani: qui iniziò a scrivere la Summa
Theologica e si occupò di vari argomenti (economici,
canonici e morali); lavorò anche per la corte papale (che in quel tempo non era
a Roma).
Il
secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272)
Dal 1268 al 1272 lo vediamo impegnato di
nuovo a Parigi ove si occupò prevalentemente dell’insegnamento della Sacra Pagina trattando argomenti
come Commenti
alla Scrittura, le Questioni
Disputate e vari argomenti riguardanti il Nuovo Testamento. Sono di questo
periodo il De Mixtione elementorum,
il De motu cordis, il De operationibus
occultis naturae, ecc.
Partecipò al dibattito culturale sull’Averroismo, fu commentatore di
Aristotele e scrisse opere come l’Expositio
libri Peryermenias, l’Expositio libri
Posteriorium, la Sententia libri Ethicorum, la Tabula libri Ethicorum, il commento alla
fisica e alla metafisica.
Gli
ultimi anni e la morte
Nella primavera del 1272 Tommaso lasciò definitivamente Parigi ed il
capitolo della provincia domenicana di Roma lo incaricò di organizzare uno Studium generale di teologia lasciandolo
libero di scegliere il luogo, le persone e il numero degli studenti. A causa di una precedente delibera del Capitolo
provinciale e per le pressioni di Carlo I° d’Angiò dovette scegliere Napoli.
Il 29 settembre 1273 partecipò al capitolo della Provincia di Roma in
qualità di definitore ma alcune settimane più tardi, mentre celebrava messa
nella cappella di san Nicola, Tommaso ebbe una trasformazione e dopo questa
messa non scrisse e non dettò più nulla: si sbarazzò anche degli strumenti per
scrivere. A Reginaldo da Piperno, che non capiva cosa era accaduto, disse:” Non
posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho
visto”.
A fine gennaio 1274 Tommaso e Piperno si misero in viaggio per
partecipare al Concilio di Lione (1° maggio 1274). Dopo qualche giorno
arrivarono al castello di Maenza dove abitava sua nipote Francesca. Qui si
ammalò e perse l’appetito.
Successivamente, sentendosi meglio, riprese il viaggio verso Roma ma fu
costretto a fermarsi all’abbazia di Fossanova per riprendere le forze. Invece
si aggravò e dopo essersi confessato e
comunicato ricevette l’estrema unzione. Morì il 7 marzo 1274.
Il suo corpo è conservato nella chiesa di Les Jacobins a Tolosa; la mano
destra si trova a Salerno nella chiesa di S. Domenico, il suo cranio è
custodito nella Basilica Cattedrale di Priverno. Fu canonizzato nel 1323 da
Papa Giovanni XXII; la chiesa cattolica lo festeggia il 28 gennaio (la chiesa
luterana lo ricorda l’8 marzo). E’ patrono dei teologi, degli accademici, dei
librai, dei fabbricanti di matite e degli studenti; è patrono della città e
della diocesi di Priverno. L’11 aprile 1567 papa Pio V lo dichiarò dottore
della chiesa con la bolla Mirabilis Deus.
Il 29 giugno 1923, nel VI centenario della canonizzazione, papa Pio XI gli
dedicò l’enciclica Studiorum Ducem.
II PENSIERO
Per Tommaso l’anima è stata
creata “a immagine e somiglianza di Dio” (come è scritto nella Genesi), unica,
immateriale, non localizzata in un punto particolare del corpo, trascendente
come Dio.
L’anima è “tota in toto corpore” cioè contenuta interamente in ogni parte del
corpo e ad esso legata indissolubilmente.
La nostra conoscenza ha origine dai sensi;
partendo da essi l’uomo si eleva al di sopra della conoscenza per mezzo
dell’intelletto.
Uno dei temi fondamentali del pensiero di
Tommaso è il rapporto tra fede e ragione. Sulla prima si fonda la teologia che riguarda Dio, mentre sulla
seconda si basa la metafisica che è
la scienza dell’essere creato. Per San Tommaso la ragione può arrivare a
dimostrare l’esistenza di Dio la quale si può avere a posteriori, non a priori
come aveva detto sant’Anselmo.
L’esistenza di Dio è da considerarsi una verità rivelata a noi donata a credere
tramite le Sacre Scritture ma rigorosamente dimostrabile dalla ragione; la sua
dimostrazione deve basarsi su dati sensibili. San Tommaso non ha grande
simpatia per l’argomento ontologico: pensa che in Dio essenza ed esistenza
coincidono e mentre per quelli che intravedono l’essenza divina è per sé
evidente che Dio esiste, per l’uomo della strada, che non ha questa visione
beatifica, manca la capacità di capire questa verità.
San Tommaso pensa che l’esistenza di Dio possa essere dedotta e la
dimostra con cinque argomenti che partendo da un dato sensibile pervengono a
Dio punto di arrivo:
- Tutto ciò che si muove (o muta) è mosso da un motore (che è insieme motore immobile e causa prima, essere necessario, perfetto, sommamente intelligente) che è altro da ciò che si muove, dal momento che nulla muove se stesso; ma ci deve essere un primo motore non mosso che muove i motori mossi, altrimenti non si muoverebbero; questo primo motore è da tutti riconosciuto come Dio, che non è però un semplice motore, un semplice sovrano ordinatore. Dio è inteso da san Tommaso come creatore e reggitore di ogni essere materiale e spirituale.
- La via della causalità efficiente. Un semplice ordinatore non sarebbe causa in senso pieno, e la differenza tra il pensiero cristiano e quello platonico e aristotelico è appunto questa: che i filosofi greci non riuscirono ad elevarsi alla considerazione della causa prima dotata di causalità efficiente. Dio esiste ma siamo tanto certi della sua esistenza quanto incapaci di penetrarne l’essenza. Attraverso la via della causalità non possiamo tuttavia capire che cosa è Dio: siamo in grado di attribuire a Dio tutte le perfezioni e di negarne le imperfezioni senza però poter dire di conoscerlo come si conosce Lui stesso. L’attribuzione delle perfezioni delle creature a Dio costituisce l’essenza della dottrina dell’analogia. Tra le creature ed il Creatore, per effetto della creazione, c’è qualcosa in comune che non elimina però la differenza di natura.
- La via della contingenza. Questo argomento parte dalla constatazione che le creature, poiché nascono, crescono e periscono sono contingenti e quindi possibili, cioè non posseggono l’essere in virtù della loro essenza. Esse sono ma non necessariamente, poiché possono anche non essere e, se sono, possono perire e non essere più. Dunque, se contingenti, le creature sono possibili. Ora se si vuole spiegare il passaggio dallo stato possibile a quello attuale, occorre ammettere una causa che non è stata e non è affatto contingente o possibile, perché sempre in atto. In poche parole l’esistenza di esseri necessari, dapprima dipendenti da altro, rimanda ad un essere assolutamente necessario e questo si chiama Dio.
- La via dei gradi di perfezione. Le cose hanno diversi gradi di perfezione ( es. il fuoco riscalda in modo diverso ed è causa di tutte le cose calde). Costatata questa gradualità vediamo che ogni cosa è diversamente partecipata o espressa. Ogni cosa più o meno buona, calda ecc. lo è in rapporto ad un essere assolutamente buono, caldo ecc. che possiede queste qualità in modo assoluto. Ora se le cose hanno un grado diverso di essere, vuol dire che questo non deriva loro in forza della loro rispettiva essenza, significa che l’hanno ricevuta da un essere che la dà senza ricevere, che partecipa senza che sia partecipe, perché sorgente di tutto ciò che in qualche modo è.
- La via del finalismo o del governo delle cose. Le realtà non intelligenti nell’universo sono ordinate secondo uno scopo, quindi, non possedendo loro questa intelligenza, ci deve essere un’intelligenza ultima che le ordina così.
La
Creazione secondo Tommaso
L’uomo non è in grado di stabilire se il
mondo è infinito o se è stato creato dal nulla perché ciò riguarda l’ambito
della fede e non può arrivarci razionalmente; l’uomo può solo rifarsi alle
verità rivelate che asseriscono che l’universo ha effettivamente un punto zero
dal quale è nato.
Per Tommaso l’universo ha una struttura
gerarchica: in cima c’è Dio che governa da solo il mondo al di sopra di tutte
le cose. Sotto Dio troviamo gli angeli (forme pure, immateriali) ai quali
Tommaso attribuisce funzioni di intelligenze motrici dei cieli anche esse
ordinate gerarchicamente tra loro. Più in basso troviamo l’uomo, posto al
confine tra il mondo delle cose spirituali e il regno della corporeità. L’uomo
è composto dal corpo (elemento materiale) e dall’anima intellettiva (che
costituisce l’ultimo grado delle intelligenze angeliche); l’uomo è quindi
l’unico essere in contatto sia con il mondo fisico, sia con il mondo spirituale.
La conoscenza umana ha origine dalle cose sensibili non avendo essa il grado di
intelligenza degli angeli.
Al di sotto dell’uomo ci sono gli animali, le piante e i minerali.
Il
rapporto fede-ragione.
Per San Tommaso questo rapporto vede la fede su un piano superiore alla
ragione: dove la ragione e la filosofia non possono proseguire inizia il campo
della fede ed il lavoro della teologia.
Però mentre la filosofia parte dai dati sensibili o razionali, la
teologia inizia i suoi ragionamenti dai dati della fede, su cui ragiona per
credere con maggiore consapevolezza ai misteri rivelati. La ragione però
riconosce che questi misteri, pur essendo al di sopra di sé, non sono mai
assurdi o contro la ragione stessa: sono entrambi (fede e ragione) dono di Dio e non possono
contraddirsi.
Tommaso a questo punto fa notare che non si può dimostrare tutto.
L’ideale sarebbe superare la fede e raggiungere la conoscenza, ma questo non è
possibile nella vita terrena del corpo; questo avverrà nella vita eterna dello
spirito.
Il punto di discrimine tra filosofia e teologia è la dimostrazione
dell’esistenza di Dio; dei due misteri fondamentali della fede (Trinitario e
Cristologico) la ragione può dimostrare solo l’esistenza di Dio e che questo
Dio non può essere che Trinitario perché per natura è amore. La ragione
tuttavia non è in grado di spiegare quello che può sembrare un paradosso
razionale: l’esistenza di un Dio Uno e Trino.
Dalla Somma Teologica (si riportano alcuni argomenti).
Dio nella sua essenza. Dio
esiste perché tutto ciò che si muove è altro da ciò che muove dal momento che nulla muove se stesso:
ci deve essere quindi un primo motore non mosso che muove i motori
mossi. Dio è un Essere semplice
perché è primo e tutto ciò che è composto è costituito da esseri semplici. E’ puro atto: tutto ciò che è composto lo
è sempre in potenza cioè può perdere o ricevere qualcosa da un altro. Dio è incorporeo perché è immateriale, puro
spirito. Dio è l’Essere assoluto perché
la sua assoluta semplicità esclude che gli si possa aggiungere qualcosa. E’ perfetto perché non manca di nulla; infinito e dunque unico perché non ha
limiti nella perfezione; eterno perché
immutabile: la sua durata non cambia con il passare del tempo ma condensa tutto
il tempo nel proprio presente istantaneamente intramontabile. Noi non possiamo
arrivare a conoscerlo in modo adeguato, solo Dio può arrivare a conoscere
completamente sé stesso; possiamo arrivare a conoscerlo attraverso concetti
complessi che partono dalle cose composte che conosciamo e affermiamo qualcosa
di Dio negando in Lui qualsiasi limite. Solo i Beati del paradiso, nella visione
beatifica, possono intendere l’essenza divina perché il loro intelletto è
illuminato dal lume della gloria. Essi intendono Dio al di là del concetto, ma
non possono sintetizzarlo in un concetto.
Dio nella suo agire. Dio è intelligenza assoluta: conosce tutto conoscendo semplicemente se
stesso perché è immateriale e l’immaterialità è la radice della conoscenza e
della conoscibilità. Essendo l’Essere Assoluto, porta tutto in se
stesso e dunque conosce tutto se stesso
nei minimi dettagli; per Lui non è necessario prevedere il futuro, né
ricordare il passato perché tutto nel
suo presente è immutabile. Se così non fosse, quando il presente diventa
passato, anche la conoscenza si muterebbe: ma Dio è immutabile. Dio è volontà assoluta, è onnipotente.
La
Trinità. Dio è
l’Essere Assoluto, onnipotente che tutto può, tranne l’impossibile o assurdo,
perché l’assurdo è nulla e potere nulla equivale a non potere. Dio, quindi è
uno, unico ed indivisibile. Tutto ciò lo
sappiamo per rivelazione, come per rivelazione ammettiamo che in
Dio ci sono delle relazioni spirituali
reciproche di generazione (a modo
intellettivo) e di spirazione (a
modo affettivo) e sono queste che distinguono le Persone che sono uguali nella
sostanza e distinte nella persona in conformità alla loro primitiva
derivazione. Il Padre genera il Figlio, quindi è il generante, e assume la Paternità del Figlio, che a sua volta viene generato ed assume la filiazione in quanto sta dalla parte
del generato. Dio, fonte dell’Essere, comunica tutto il suo Essere al Figlio
che lo accoglie e accetta di essere Figlio. Tra l’essere Padre e l’essere
Figlio, non c’è tempo in mezzo; il Padre e il Figlio sono simultanei: il
Padre è Padre in relazione al Figlio al quale consegna
tutto il suo essere Padre e il Figlio è figlio in relazione al Padre in quanto
accetta l’essere del Padre, la sostanza del Padre. Viene quindi generato non
creato per cui è della stessa sostanza del Padre; in questo caso le relazioni
spirituali si distinguono tra loro ma si
identificano in un’unica sostanza o sussistenza divina; si diranno dunque
sussistenti e si chiameranno concretamente Padre,
Figlio e Spirito Santo: in questo caso asseriremo che lo Spirito procede
dal Padre e dal Figlio. In conseguenza di ciò non avremo tre Persone distinte,
ma tre relazioni sussistenti facenti parte di un’unica sussistenza. La Generazione comporta la consegna del
proprio essere: il Padre infinito
genera il Figlio infinito grazie all’amore dello Spirito Santo; questa
è una relazione inseparabile, permanente, dinamica, sono l’una nell’altra. Dio
vuole salvare l’uomo e manda all’anima umana, per santificarla, il Figlio Salvatore
e lo Spirito Santo Santificatore che hanno la missione di donare l’amore del
Padre che si dona.
Cristo
Salvatore. L’incarnazione
di Dio è stata necessaria per permettere alla Somma Bontà di comunicare con
l’uomo in modo sommo. E il significato ultimo di questo messaggio sta in
questo: Dio diventa uomo perché l’uomo possa avvicinarsi a Dio. L’incarnazione
è disposta da Dio per rimediare al peccato originale ed elevare così la natura
umana ad un livello superiore: Dio permette un male per trarne un bene
maggiore.
In Cristo la natura umana è unita al Figlio o Verbo ipostaticamente,
cioè in una sola persona. Nel Verbo dunque sussistono
le due nature: quella divina e quella umana. In Cristo ogni natura compie
in comunione con l’altra ciò che le è proprio. Gli attributi della natura umana
e divina sono comuni a Dio e all’uomo perché unica ed identica è la persona
rappresentata dalle due nature: occorre però distinguere sotto quale aspetto vengono predicati, cioè se secondo
la natura umana o la natura divina (es. Cristo è mortale secondo la natura
umana e immortale secondo la natura divina).
In Cristo ci sono due volontà,
una divina e una umana, perché la natura umana di Cristo è perfetta e la
natura divina non può subire menomazioni. Cristo, in quanto Dio, possedeva la scienza divina ma in quanto uomo
possedeva anche quella creata che
può essere scienza
beatifica (come salvatore), scienza
infusa (come uomo perfetto) e scienza
acquisita (con l’esperienza quotidiana). Era inoltre necessario che il corpo
assunto dal Figlio di Dio soggiacesse alle debolezze
umane per espiare i peccati degli uomini, facilitare la fede
nell’incarnazione, darci un esempio di pazienza. Cristo è mediatore in quanto uomo (dista in modo eguale da Dio e dagli
uomini) ma anche trasmette all’uno ciò che appartiene all’altro: ha in comune
con Dio la beatitudine e con gli uomini la mortalità; offre agli uomini i doni
di Dio e a Dio le suppliche e le
espiazioni degli uomini. A Cristo come uomo compete essere il Capo della chiesa.
L’insegnamento di
Gesù non fu mai segreto ma pubblico; utilizzò l’ammaestramento per parabole per
adattarsi al grado di comprensione delle folle e non fu dato per iscritto per
far sì che si imprimesse maggiormente nel cuore delle folle: Gesù parlava come
uno che ha autorità (Mt 7, 18) e operava ogni forma di miracoli sia fisici che
spirituali.
L’obbedienza del Verbo alla morte
corporale e in croce rispecchia il disegno stabilito da Dio (Lc 22, 22) e
fu sommamente conveniente perché il frutto dell’albero proibito e la
disobbedienza causarono la morte e il peccato. La morte in croce ristabilisce l’obbedienza e
libera dalla morte.
Era necessario che Cristo risorgesse
perché la giustizia divina prevede che chi si umilia sarà esaltato; conferma la
divinità di Cristo; infonde la speranza che anche noi risorgeremo; ci assicura
una nuova vita in Cristo; con la sua gloria assicura il nostro bene.
La Beata
Vergine Maria è la vera e naturale madre
di Cristo, perché il corpo di Cristo è preso da lei: essa ha generato il
Figlio secondo la natura umana prima
della condanna quindi Immacolata.
Lo Spirito Santo ci fa godere di questa mirabile realtà di
essere “amici di Dio” (Summa contra Gentiles
IV,23). E’ proprio dell’amicizia conversare con l’amato amico. Ora la
conversazione dell’uomo con Dio si attua nella contemplazione, come dice S.
Paolo (Fl 3,20) “la nostra conversazione si svolge in cielo”. E’ lo Spirito
Santo che rende l’uomo amico di Dio,
conseguentemente ci rende suoi contemplatori. Ora siccome lo Spirito Santo ci
rende amici di Dio e lo fa abitare in noi e noi con Lui, per mezzo di Lui noi
troviamo in Dio la nostra gioia e consolazione contro tutte le avversità e gli
attacchi del mondo. La prova viene dalle parole di Gesù: “Se mi amate
osserverete i miei comandamenti (Giov. 14,15)” e poiché lo Spirito Santo ci
rende amici di Dio, da Lui stesso siamo portati all’adempimento dei
Comandamenti di Dio, secondo S. Paolo
(Rm 8,14): “Coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio”. Lo
Spirito Santo li guida quindi come dei figli carissimi e non come servi. Mossi
quindi dall’amore e non dalla paura. Difatti sempre S. Paolo subito dopo dice
ai Romani: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella
paura, ma avete ricevuto uno Spirito di figli”. (Tommaso d’Aquino-Summa contra
Gentiles IV n. 3585)
La
creazione. Se Dio è
l’Essere Assoluto, tutto ciò che è diverso da Dio è stato da Lui creato.
Pertanto l’atto di creare implica una pura relazione di dipendenza
totale della creatura dal creatore.
Il
mondo creato è uno perché
dipende dall’unico Dio, ma contiene una molteplicità
ordinata di differenti creature
perché non basta una creatura per esprimere la perfezione di Dio.
Dio ha donato la libertà di agire agli esseri spirituali e all’uomo;
dalla loro disobbedienza è nato il male
(legato alla corruttibilità di alcune creature) che è permesso da Dio al fine di donare un bene migliore ai
suoi fedeli. Così tutto è sottoposto al
governo e alla provvidenza di Dio.
Gli angeli. Sono creature immateriali,
spirituali, volute da Dio prima di ogni creazione materiale nell’universo e al
suo servizio. Esprimono la somiglianza
massima con Dio nell’ordine intellettuale, fuori dello spazio e del tempo;
ma sono presenti anche nel mondo corporeo con la loro virtù operativa esercitata, al servizio di Dio, sul creato. Possono
influire sull’intelligenza dell’uomo
e sulla sua volontà suscitando
immagini e disponendo i sensi a conoscere e a volere, ma non possono
costringerlo e comunque sempre in ossequio alla volontà Divina.
Sono ordinati in gerarchie:
quella più alta è composta da Serafini, Cherubini e Troni che assistono Dio, la
più bassa è quella degli angeli, compresi gli angeli custodi, che assistono il
creato e l’uomo e godono della beatitudine
eterna di Dio perché dopo aver superata la loro prova sono stati confermati
in grazia per l’eternità. Ci sono anche angeli
cattivi decaduti che hanno scelto la
contrarietà a Dio per superbia e che si prodigano per la dannazione, con loro,
degli uomini in odio a Dio.
L’uomo. L’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio ed è
dotato di libero arbitrio ( che lo rende libero dall’influenza della
realtà contingente) e del controllo sulle
proprie azioni.
L’immagine di Dio nell’uomo è meno perfetta
rispetto a quella dell’angelo, ma in certo qual modo la supera, perché l’anima intellettiva è tutta in tutto il
corpo e tutta in ogni sua parte, come Dio è nel mondo.
L’anima dell’uomo è una sostanza spirituale capace di auto
coscienza, non dipende dal corpo e dunque non è generabile ma è creata
direttamente da Dio e non si corrompe con la morte dell’uomo. Il corpo è però
indispensabile: l’anima non si aggiunge al corpo, ma lo fa vivere. A differenza
dell’anima animale quella dell’uomo ha dentro anche lo spirito eterno che rende
l’anima umana immortale.
La conoscenza
intellettiva dell’uomo avviene per astrazione
dalle esperienze dei sensi. Tutto ciò che noi conosciamo intellettualmente
lo apprendiamo intellettualmente per analogia
dalle realtà sensibili. Il nostro intelletto arriva alla conoscenza prima attraverso concetti generali, poi via
via sempre più particolari attraverso il ragionamento. Il corpo umano è formato dalla
materia che è il substrato dell’anima intellettiva. Il primo uomo fu creato in grazia
perché l’integrità della
subordinazione del corpo all’anima e delle facoltà inferiori alla ragione non è
dovuta alla semplice natura, che sarebbe
rimasta tale anche dopo il peccato, ma
alla grazia ricevuta in dono.
Il fine
ultimo dell’uomo consiste nella beatitudine e la beatitudine consisterà
nella visione di Dio. La vita retta, quella vita regolata dalla legge morale,
ci fa crescere verso il bene. Tuttavia, essendo la legge morale una partecipazione
della legge eterna, ci fa tendere non ad un bene naturale ma alla morale
soprannaturale, quella morale cioè regolata dalle virtù teologali (fede,
speranza e carità) e cardinali. La
città terrena è così subordinata alla città celeste, così come lo stato alla
chiesa.
La legge è un
comando della ragione finalizzato al bene comune. Tommaso distingue una legge eterna con la quale Dio governa
le cose. Esiste poi una legge naturale
con il senso innato di alcune cose da farsi ed altre da evitarsi (comprende
l’autoconservazione, l’unione del maschio e della femmina e la cura della
prole), che è comune a tutti gli animali. Una legge umana più elevata che obbliga la coscienza se giusta ed è
finalizzata al bene comune. Una legge
divina ancora superiore che indirizza
l’uomo al suo fine ultimo; questa può essere antica (riguardava precetti morali e cerimoniali rispetto a Dio,
giudiziali rispetto al prossimo) o nuova
o evangelica e riguarda i beni spirituali e celesti, regola gli atti
interni e trae forza dall’amore infuso nel cuore dalla grazia di Cristo. La
legge evangelica è una legge scritta ispirata dallo Spirito Santo e infusa in grado di conferire la giustificazione
cioè la grazia Santificante.
Stati
di perfezione. I vescovi e i religiosi appartengono allo
stato di perfezione perché questo implica una obbligazione perpetua alle
pratiche di perfezione, con l’ufficio pastorale e la consacrazione e con i voti
di povertà, castità, obbedienza. Il primo posto fra gli ordini religiosi spetta
a quelli dedicati all’insegnamento
e alla predicazione.
Le
realtà ultime. Dopo la
morte vengono assegnate alle anime, anche se separate dal corpo, delle speciali dimore che si trovano, come
per gli angeli, in posti diversi dislocati secondo i gradi di merito acquisiti.
Appena liberata dal corpo, l’anima va all’inferno
(se demerita) o va in paradiso (se
merita) o va in purgatorio ove
subisce una purificazione (se ha colpe veniali personali), perché tende al
luogo del premio o del castigo.
I
suffragi giovano alle anime del purgatorio e giovano anche ai vivi,
perché sono opere meritorie per la vita eterna: chi li compie, con la carità,
acquista meriti anche per se stesso. La Santa Messa, le preghiere e le
elemosine sono i suffragi principali, perché sono effetto della carità
(Eucaristia e elemosine) e dell’intenzione dell’offerente (preghiere).
Le esequie funebri giovano ai vivi ed anche ai morti perché il sepolcro
alimenta la fede dei vivi nella resurrezione e stimola la preghiera a vantaggio
dei morti.
I Santi
del cielo conoscono i
desideri e le preghiere dei fedeli imploranti: torna a loro gloria il
soccorrere i bisognosi in vista della salvezza.
Bisogna ammettere la resurrezione
futura dal momento che l’anima è chiamata alla beatitudine con il proprio
corpo (siamo fatti di anima e corpo). La resurrezione avverrà per tutti alla
fine del mondo ( perché solo allora cesserà il moto dei cieli che determina la
corruzione) in modo da raggiungere
l’immortalità. L’anima riprenderà lo
stesso corpo di prima, altrimenti non si tratterrebbe di risurrezione ma di
assunzione di un altro corpo, incorrendo nell’errore di immaginare l’anima come
un motore e non come una forma (specie) di sostanza, o il corpo come un
vestito.
L’uomo che risorge è sempre lo stesso perché, se risorgesse in un
altro corpo, la sua creazione per il raggiungimento della beatitudine sarebbe
stata inutile. Con la risurrezione il corpo viene a partecipare alla
ricomposizione di tale essere, perché nell’uomo non c’è mai stata un’interruzione
sostanziale di anima e corpo, l’uomo è dunque lo stesso di prima. Però l’uomo
risorto avrà doni, che non aveva, come già ora li hanno Gesù e Maria Santissima
con il loro corpo spiritualizzato.
Tutti risorgeranno nell’età
giovanile che è lo stato della migliore integrità fisica. La diversità
di sesso sarà mantenuta perché
appartiene alla perfezione della specie; non ci
saranno però le funzioni della vita animale: nutrizione e generazione.
I beati saranno imperturbabili perché il corpo sarà perfettamente soggetto
all’anima razionale e questa a Dio. Lo splendore
del corpo sarà il riflesso della gloria dell’anima e la farà conoscere come
un vaso di vetro mostra il suo contenuto.
I
dannati saranno
nella disperazione avendo perso Dio bellezza suprema e il fuoco li affliggerà
senza consumarli perché sarà ricevuto da essi in modo intenzionale e non
fisico, come il colore è ricevuto nell’occhio attraverso la pupilla.
Nel giudizio
universale, dopo
quello particolare in cui ognuno
sarà giudicato individualmente subito dopo la morte, l’uomo alla fine del mondo
assisterà alla separazione dei buoni dai cattivi e alle responsabilità
collettive di popoli e nazioni. Cristo
presiederà il primo giudizio particolare sotto l’aspetto della sua natura
umana, ma nel giudizio finale farà le veci del Padre nei riguardi degli uomini
e di tutto il creato.
Il mondo sarà rinnovato perché anche gli occhi possano
godere di una gioia proporzionale alla visione beatifica dell’intelletto; il
nostro intelletto arriverà a percepire l’essenza divina perché l’ultima
perfezione consiste nel ricongiungimento con il proprio principio. La
gioia derivante dalla visione beatifica sarà proporzionata
alla carità operata.
LE
OPERE
Sintesi
teologiche
Scriptum
super libros Sententiarum
Summa
contra Gentiles
Summa
Theologiae
Questioni
disputate
Quaestiones disputatae De potentia
Quaestiones disputatae de Veritate
Quaestio De anima
Quaestio De spiritualibus creaturis
Quaestio disputatae De malo
Quaestiones De virtutibus
Quaestio disputata De unione verbi incarnati
Quaestiones de Quodlibet I-XII
Commenti biblici
Expositio super Isaiam ad litteram
Expositio super Isaiam ad litteram
Lectura super Mattheum
Lectura super Ioannem
Expositio et lectura super Epistolas Pauli Apostoli
Commenti
ad Aristotele
Sententia
Libri de anima
Sententia
Libri De sensu et sensato
Expositio
Libri Posteriorum
Sententia
super librum De caelo et mundo
Sententia
super Libros De generatione et corruptione
Altri
commenti
Super
Boetium De Trinitate
Expositio
Libri Boetii De ebdomadibus
Super
Librum Dionysii De divinis nomibus
Super
Librum De Causis
Scritti
polemici
Contra
Impugnantes dei cultum et religionem
De
perfectione spiritualis vitae
Contra
doctrinam retrahentium a religione
De
unitate intellectus contra Averroistas
De
aeternitate mundi
Trattati
De ente
et essentia
De principiis naturae
Compendium theologiae seva brevis compilatio
yheologiae ad fratrem Raynaldum
De substantiis separatis
Bibliografia
Wikipedia
Enciclopedia Grolier
Giulio Bonafede, Storia della filosofia per i licei, Libreria
Editrice Fiorentina 1951, pag .132-136
Giovanni Reale-Dario Antiseri, Il pensiero Occidentale dalle
origini ad oggi. Editrice La Scuola 1983, vol. I°, pag. 421-436 .
Giuseppe Berzaghi, La
Somma Teologica di S. Tommaso d’Aquino in un soffio, Ed. Studio Domenicano.