San Domenico di Guzmàn - La vita, il carisma, le opere




A cura di Gianmaria Fulco 2015

                  
S.  Domenico di Guzmàn.
(Fondatore dell’Ordine dei Predicatori).

   Domenico, Francesco ed Innocenzo III furono i tre personaggi che, tra la fine del 1100 e l’inizio del 1200, maggiormente contribuirono al rinnovamento della Chiesa in un periodo caratterizzato da grandi cambiamenti.
   Innocenzo III affrontò con polso fermo ed intelligenza i tanti problemi spirituali e politici presenti in quel periodo avvalendosi della collaborazione di Francesco e Domenico.
    Questi ultimi fondarono entrambi un Ordine religioso (dei Mendicanti) ma mentre Francesco si dedicò alla carità verso il prossimo, Domenico si dedicò alla predicazione: era quella un’epoca in cui era molto diffusa l’ignoranza sulle cose religiose anche tra il clero.
   Si narra (ma è una leggenda) che Papa Innocenzo III, dopo la richiesta di Domenico di istituire l’Ordine dei Predicatori, abbia avuto un sogno: gli apparve la Basilica di S. Giovanni in Laterano che stava per crollare quando vide avvicinarsi un uomo che, con le sue spalle la sostenne e la salvò, in quell’uomo riconobbe Domenico.

  LA VITA
    Domenico nacque in Spagna a Caleruega (nella vecchia Castiglia) intorno al 1170 da Felice di Guzmàn e Giovanna d’Aza (i Guzmàn appartenevano ad una famiglia forse nobile ma sicuramente agiata e religiosa). Fu battezzato con il nome del patrono dell’abazia benedettina di San Domingo de Silos che sorgeva nelle vicinanze.
   Si narra, ed è un’altra leggenda, che Dio, prima della nascita, lo abbia mostrato alla madre Giovanna d’Aza sotto forma di un cane (nota 4) che, con una fiaccola accesa in bocca, si lanciava per illuminare il mondo.
    Fin da giovane si dimostrò di intelligenza vivace e dai molti interessi. 
    La prima educazione la ricevette in famiglia dallo zio materno, l’arciprete Gumiel de Izan; successivamente (aveva quattordici anni) fu inviato a Palencia dove frequentò per dieci anni i corsi di teologia.
    Qui venne a contatto con le miserie causate dalle guerre e dalle carestie e si dimostrò sensibile verso le sofferenze del prossimo: si narra che in una di tali carestie mise in atto il Vangelo, vendette tutti i suoi beni, comprese le sue preziose pergamene (in quel tempo non era stata ancora inventata la stampa), per dar da mangiare ai poveri dicendo: “come posso studiare su pelli morte, mentre tanti miei fratelli muoiono di fame?”.
   Finiti gli studi di teologia (all’età di 24 anni) fu ordinato sacerdote dal vescovo Martino di Bazan ed entrò nel Capitolo della cattedrale di Osma. In quel periodo Martino ne stava ristrutturando il Capitolo secondo la Regola Agostiniana con l’aiuto di Diego d’Acevedo. Quando Diego divenne Vescovo (1201) nominò Domenico sottopriore in riconoscimento delle sue doti di intelligenza e spiritualità.
    Nel 1203 Domenico accompagnò Diego in una missione diplomatica in Danimarca per conto del re di Castiglia Alfonso VIII: si trattava di prelevare ed accompagnare in Spagna una principessa promessa sposa di un principe spagnolo. Durante il viaggio di ritorno la Provvidenza lo fece venire a contatto con le popolazioni della Francia meridionale (Linguadoca) dove era diffusa l’eresia dei Càtari o Albigesi (nota 1). Questi sostenevano una concezione dualistica della realtà in cui tutto è regolato da due princìpi creatori egualmente opposti: Dio e il Diavolo, il Bene e il Male, lo Spirito e la Materia, negavano l’incarnazione di Cristo e la sua resurrezione, non riconoscevano i sacramenti della Chiesa.  Questo contatto fu una rivelazione per Diego e Domenico che, al ritorno da un secondo viaggio in Danimarca, decisero di andare a Roma per chiedere al papa Innocenzo III di potersi dedicare all’evangelizzazione dei pagani. Il loro vivo desiderio era quello di andare ad evangelizzare le popolazioni del nord-est dell’Europa ma Innocenzo III preferì inviare Diego e Domenico come missionari in Linguadoca (1206) per contrastare l’eresia catara. Qui Diego morì improvvisamente il 30 dicembre 1207.

LA PERMANENZA IN LINGUADOCA.
   Domenico restò in Linguadoca per oltre 10 anni (1205-1216) e svolse la sua missione dimostrandosi molto disponibile con tutti, partecipando a dibattiti pubblici, 
impegnandosi in prediche, colloqui personali ed integrando il tutto con la preghiera e la penitenza. In tutte queste attività fu appoggiato dal vescovo Folchetto di Marsiglia che lo nominò predicatore della diocesi.
   Domenico parlava spesso e con competenza di Dio, pregava tanto. Al centro della sua predicazione c’era Gesù Crocifisso considerato il bene più prezioso. Testimoniava la sua fede in Cristo vivendo in povertà. Pensava che tutti gli uomini avessero il diritto di conoscere e amare Cristo. Nella predicazione citava spesso la Madonna e consigliava la recita del Rosario. Nutriva la sua fede leggendo i testi sacri ed ispirandosi alla natura: più volte fu visto dai suoi frati entrare in estasi mentre contemplava la bellezza del creato.
   Dante, nel Paradiso, racconta l’incontro con S. Tommaso d’Aquino che gli espone come la Provvidenza, che tutto regola, abbia mandato due grandi prìncipi con il compito di guidare e sostenere la Chiesa: Francesco e Domenico. Francesco fu ardente nella Carità come un Serafino (“L’un fu tutto serafico in ardore”); Domenico fu splendente in sapienza come un Cherubino (“l’altro per sapienza in terra fue/di cherubica luce uno splendore”).
   Durante la sua permanenza in Linguadoca Domenico maturò l’idea di costituire un Ordine Religioso. A Notre-Dame-de-Prouille fondò un monastero ove raccolse alcune donne che avevano abbandonato il catarismo: nacque così l’Ordine Femminile delle Domenicane che esiste anche oggi.
   Gli si avvicinarono anche degli uomini desiderosi di vivere la sua regola ma tanti si   allontanarono giudicando lo stile di vita da Lui preteso molto duro; alla fine riuscì a raccogliere un manipolo di uomini idonei e motivati che formò come predicatori.
   In questo periodo Domenico rifiutò di unirsi alla crociata bandita da Innocenzo III.
  Nel 1212 Domenico (dal racconto di Alano della Rupe) ebbe una visione: gli apparve la Madonna che gli consegnò il rosario come preghiera per combattere l’eresia Albigese. Da allora il rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie ed una delle più popolari preghiere del cattolicesimo (nota 5).    
  Nel 1213-1214 Domenico durante uno dei tanti suoi spostamenti fu rapito dai pirati. La notte dell’Annunciazione di Maria Santissima (25 marzo) una tremenda tempesta stava facendo naufragare la nave dei pirati quando la Madonna gli apparve e gli disse che l’unico modo per salvarsi era quello di dire di sì alla Confraternita del Rosario: i 
marinai accettarono ed il mare si calmò. I marinai furono così i primi membri della Confraternita del Rosario
   Nel 1215 (a Tolosa) Domenico ricevette in dono, per i suoi seguaci, una casa da parte di Pietro Cellani divenuto poi Predicatore e un altro dono lo ricevette da parte di Simone IV di Monfort che gli regalò il Castello di Cassanel.
   Rimase a Tolosa quasi fino alla fine del 1215 quando si recò dal Papa per chiedere il riconoscimento dell’Ordine dei Predicatori. Innocenzo III gli suggerì di adottare la Regola di Sant’Agostino con degli adattamenti riguardo alla predicazione e alla testimonianza di Dio davanti ai fratelli a cui bisognava porgere, nella povertà evangelica, la Verità rivelata.
   La Regola di Sant’Agostino stabiliva: gli scopi della vita in comune; la preghiera quotidiana da effettuarsi nei modi e nelle ore stabilite; le regole sulla frugalità e sulla mortificazione; la custodia della castità e la correzione fraterna nei riguardi degli altri confratelli; la custodia e l’utilizzo dei beni comuni in convento; il perdono delle offese; lo spirito che deve ispirare i comportamenti dei superiori e l’obbedienza loro dovuta; l’osservanza della Regola.

FONDAZIONE DELL’ORDINE DEI PREDICATORI.

   Il 22 dicembre 1216 il Papa Onorio III approvò ufficialmente l’Ordine dei Frati Predicatori (o Domenicani) e già l’anno dopo (1217) l’Ordine era cresciuto tanto da potere inviare, per l’evangelizzazione, monaci in diverse parti d’Europa (tra cui la Spagna) (nota 2) e nelle principali Università del tempo come Parigi e Bologna. Domenico si recò spesso a Bologna.
    Come richiesto dal IV Concilio Lateranense gli aderenti al nuovo Ordine dovettero adottare una Regola preesistente: optarono per la regola Agostiniana, in particolare quella adottata presso i Canonici Regolari Premostranensi, cui furono aggiunte delle “costituzioni” (leggi interne), per adattarla al loro carisma fondato sulla predicazione della parola di Dio e sull’esempio. La regola così modificata è stata successivamente valutata come espressione giuridica di elevata democrazia ed utilizzata spesso come modello per scrivere altre costituzioni, specie quelle dei futuri Comuni.
Il loro motto fu: Laudare, Benedicere, Praedicare preso dall’antico Prefazio mariano.  

   Ma i Frati Predicatori incontrarono presto una forte opposizione, da parte dei Vescovi locali, che fu superata dalla bolla papale dell’11 febbraio 1218 con cui si ordinava a tutti i prelati di dare assistenza ai Domenicani.
    A Bologna Reginaldo d’Orleans con la sua eloquenza suscitò grande interesse e simpatie nei riguardi dei Domenicani tanto da indurre numerose donazioni, che Domenico rifiutò perché desiderava che i suoi confratelli non avessero proprietà e vivessero di elemosina.
   Nel 1220 e nel 1221 Domenico presiedette i primi due Capitoli Generali del nuovo Ordine e in quell’occasione fu redatta la Magna Carta degli elementi fondanti dell’Ordine che furono:
1) la preghiera puntualizzata nei minimi particolari (lodi, salmi, scritture, ecc) e i relativi orari;
2) lo studio dei testi sacri e la predicazione;
   la predicazione, prima di allora, era riservata quasi completamente ai Vescovi e ai pochi sacerdoti istruiti.
 3) la povertà mendicante;
 mancava una vera predicazione legata alla vita povera dato che ai  vescovi non era richiesto il voto di povertà. La povertà era necessaria per potere praticare una vita regolare dedicata alla predicazione della parola di Dio.
4) le regole della vita in comune collegate ad una intuizione di Domenico: la dispensa per effetto della quale un superiore può dispensare temporaneamente un frate dall’osservanza di una determinata regola per favorire una predicazione più efficace. Erano previsti inoltre i voti di povertà, castità e obbedienza.
5)  le leggi interne all’Ordine dei Predicatori;
6) la distribuzione geografica;
alle otto Province iniziali si aggiunsero, via, via, delle altre anche all’estero.

   In Italia l’Ordine è diviso in tre province:

            a) Provincia di S. Domenico (Italia del Nord)       

         b) Provincia Romana di Santa Caterina da Siena (Abruzzo, Lazio, Sardegna, Toscana e Umbria)

            c) Provincia di San Tommaso d’Aquino.

7) i criteri da adottare per le spedizioni missionarie.
    Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle penitenze, a cinquant’uno anni, Domenico morì nel suo amato convento di Bologna in una cella non sua perché lui, il fondatore, non ne aveva una.
  Questo il suo testamento spirituale: “Abbiate la Carità, conservate l’umiltà, possedete la povertà volontaria”.
   Fu canonizzato a Rieti il 13 luglio 1234 da Papa Gregorio IX. Attualmente si ricorda l’8 agosto. Il suo corpo è custodito nella basilica di Bologna a Lui dedicata. E’ patrono di parecchi Comuni. Alla sua intercessione sono attribuiti numerosi miracoli.
    L’Ordine domenicano oggi conta oltre 150 tra Santi e Beati tra cui ricordiamo: oltre a San Domenico di Cuzmàn, Sant’Alberto Magno, San Tommaso d’Aquino, Beato Giovanni da Fiesole (detto Beato Angelico), Beato Giordano di Sassonia, San Pio V, San Pietro Martire da Verona.  
   La grande famiglia domenicana è composta oggi da Frati consacrati sacerdoti, monache contemplative, suore e laici (maschi e femmine che compongono il Terz’Ordine).
  Al 31 dicembre 2005 l’Ordine contava 615 conventi e 6.077 frati di cui 4.495 sacerdoti.
(Vedi note 3, 4 e 6).

Bibliografia 
La regola di S. Agostino, a cura di Alberto da Cormano, alberto@ora-et-labora-net
S. Domenico di Guzmàn, a cura di Franco Mariani-Addetto stampa Congregazione Suore Domenicane dello Spirito Santo.
Anche Dio ha i suoi campioni, Mario Scudu, Elledieci 2011.
San Domenico di Guzmàn, Wikipedia.

 (1) Catari. Furono degli eretici vissuti tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII in Renania (nel territorio di Tolosa). La loro presenza è documentata anche nelle regioni fiamminghe e in Italia. Nel sud della Francia il movimento fu aspramente combattuto e sconfitto nella cosiddetta crociata contro gli Albigesi (dalla città di Albi centro della cultura catara) conclusasi con la presa di Tolosa nel 1228 e il Concilio tenuto nella stessa città nel 1229. Alla sconfitta militare seguì una dura repressione con il rogo dei catari e la distruzione dei libri dove erano esposte le dottrine e la liturgia catara. In Italia furono presenti a Concorezzo (Milano), a Desenzano del Garda, a Vicenza, a Mantova, nella Valle Spoletana, a Firenze ove appoggiarono i Ghibellini. Dopo la battaglia di Benevento e di Tagliacozzo nella repressione del ghibellinismo furono coinvolti anche i Catari. Dante non parla mai dei Catari ma sicuramente lo furono Farinata degli Uberti e forse anche Guido Cavalcanti.

  A base della loro fede c’era il dualismo. Secondo Guglielmo d’Alvernia (De Universo) tutto ha origine da un duplice principio originario da cui deriva una doppia creazione (del bene e del male) e quindi la duplicità di tutto il reale che a sua volta si sdoppia in “regno della luce” e” regno delle tenebre” in eterno conflitto. Nell’uomo l’anima è racchiusa nella prigione del corpo. Il corpo non ha nessun ruolo nella salvezza ed anzi deve essere ignorato; i comportamenti istintivi non debbono vincolare il nostro agire, non seguono regole morali, ma i “perfetti” arriveranno a praticare condizioni di vita ascetiche, saranno vegetariani e praticheranno l’astensione dai rapporti sessuali intesi come mezzo per perpetuare la vita e quindi l’esistenza della materia, opera del Male; i più bravi arriveranno alla morte attraverso l’endura, pratica estrema dell’astensione del cibo. La dottrina catara annoverava il rifiuto dei sacramenti e dell’inferno, la negazione che Cristo si fosse incarnato in un corpo reale: Cristo era creduto non figlio di Dio ma soltanto un angelo mandato da Dio sotto forma di un corpo umano e nato da un altro angelo, Maria sua madre. Predicavano anche il rifiuto della proprietà privata e condannavano la guerra.

Bibliografia:
    Liber de duobus principiis, ed. A. Dondaine, Roma 1939, con traduzione francese, Livre del deux pincipes, a cura di Christine Touzellier, ed. du Cerf, Paris 1973.
  Rituel Cathare,a cura di C. Touzellier, ed. du Cerf Paris 1977.
  J. Duvernoy. La religion et l’istoire des Chatares, Privat, Paris 1986.
  Catarismo, Manuale di storia della filosofia medievale on line. Università di Siena. 
   Raoul Manselli, Enciclopedia Dantesca, Treccani, 1970.
   Raoul Manselli, L’eresia del male, Morano, Napoli, 1963.
(2) il 12 settembre 1217, guidati da Matteo di Francia, arrivarono a Parigi 7 frati Domenicani che presero dimora in una casa dell’ospedale di Notre-Dame poi, nell’agosto 1218, si trasferirono in una casa dell’università di Parigi, sotto il patronato di San Giacomo, per questo in Francia i domenicani sono conosciuti con il nome di Jacobin (giacobini).
(3) L’abito dei frati è composto da un vestito totalmente bianco composto da una specie di cappa cui è sovrapposto uno scapolare ed infine un cappuccio bianco; completa l’abito una cappa di colore nero cui è sovrapposto un cappuccio nero delle stesse dimensioni di quello bianco. Il bianco è simbolo di purezza e castità, il nero rappresenta la rinuncia e la penitenza.
   Come curiosità si ricorda che i colori della Juventus (bianco e nero) sono tali perché la squadra di calcio è nata nell’Oratorio dei Domenicani di Torino.
(4) Il cane nell’emblema dell’Ordine si rifà al nome latino dei domenicani: canes Domini (cani del Signore) ove il cane rappresenta la fedeltà al messaggio evangelico. Il cane è pronto ad azzannare gli eretici e difendere il gregge di Cristo.
(5) Il rosario in realtà non esisteva ai tempi di Domenico: forse Domenico recitava una preghiera a modo di litania in onore della Vergine; tale preghiera fu codificata dal monaco certosino Domenico di Proussiac. La preghiera del rosario fu poi regolamentata dal domenicano francese André de la Roche e successivamente ripresa nella forma liturgica attuale secondo i criteri voluti dal papa Pio V anche lui domenicano.
(6) Stemma dei domenicani: nel corso dei secoli è cambiato diverse volte. In epoca recente la croce gigliata è stata inserita su uno scudo e ha sostituito (1965) l’antico stemma. I colori sono il bianco simbolo di purezza e il nero simbolo di rinuncia e penitenza. La stella rappresenta il simbolo della predestinazione di S. Domenico (si narra che la madrina la vide sulla sua fronte il giorno del battesimo). Il giglio è simbolo di moralità e di integrità. Completa lo stemma il motto: Laudare, Benedicere, Praedicare.




                         S. Domenico in un quadro dipinto dal Beato Angelico

(Firenze, convento di San Marco, 1438 ca.)